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Sent: Mon, June 14, 2010 9:04:37 PM
Subject: [** MAOIST_REVOLUTION **] crisis and revolution PCm-Italy
PCm-Italy sends this text 2009 for analisis of economic crisis
against riformist solution
CRISI - contro le false soluzioni del riformismo
la "soluzione" è la rivoluzione
La crisi mostra la sua profondità. La crisi devastante che attraversa il 
sistema imperialista mondiale mostra giorno dopo giorno la sua profondità. 
Essa da crisi finanziaria si è trasformata in recessione mondiale. Come la 
crisi sia nata nell'ambito finanziario per effetto della bolla speculativa è 
stato ampiamente analizzato e descritto. Quello che occorre mettere in luce 
è che essa è strettamente connessa alla natura stessa del sistema 
imperialista. La finanziarizzazione dell'economia è stata lo sviluppo 
inevitabile del capitale e data da lungo tempo.
Dietro la finanziarizzazione c'è la ricerca del massimo profitto e l'uso di 
tutti gli strumenti finanziari e di tutte le strutture costruite 
dall'imperialismo a  questo scopo. I grandi finanzieri che hanno tirato la 
corda di quella che impropriamente viene chiamata "speculazione"
messi sotto accusa, ma in realtà sono stati fedeli esecutori e interpreti 
dell'esigenza del grande capitale, industriale, terziario o pubblico che 
sia. I grandi capitalisti e i loro governi cercano ora di singolarizzare le 
colpe, trovare dei capri espiatori per salvare innanzitutto l'immagine e poi 
il funzionamento del sistema stesso.
Lo squilibrio di fondo è originato dallo sviluppo produttivo finalizzato al 
profitto basato sullo sfruttamento della forza-lavoro e i profitti possibili 
attraverso gli investimenti finanziari. Questo squilibrio non dipende dalla 
volontà dei singoli ma dalla legge stessa che guida la ricerca del massimo 
profitto da parte del capitale.
La presunta immoralità della speculazione finanziaria, l'assenza di regole 
in essa di cui si parla, sono  la norma in ogni tassello del sistema 
capitalista e del movimento reale del capitale su scala mondiale.
La crisi ha avuto il merito di mettere a nudo tutto questo, di rendere 
evidente questo funzionamento mandando in frantumi, di conseguenza, 
l'immagine che il capitale e il suo sistema dà di sé. Come nell'attività 
produttiva il capitale cerca costantemente di affinare macchine e metodi per 
trarre il massimo dallo sfruttamento operaio e dall'utilizzo intensivo dei 
mezzi di produzione e materie prime, lo stesso avviene nel campo 
dell'attività finanziaria. Anche qui si sono inventati via via sistemi 
sempre più sofisticati ed efficaci di una macchina produttrice di denaro e 
riproduttrice di profitto.
La crisi ha messo in particolare luce il rapporto tra questo gigantesco 
sistema e una serie di fattori molto legati al coinvolgimento dei proletari 
e delle masse popolari negli ingranaggi del sistema  stesso. In particolare i 
meccanismi legati ai mutui, al credito drogato al consumo, ai fondi 
pensioni, ecc., hanno dato la possibilità al capitale finanziario di 
succhiare dieci volte lo stesso sangue all'operaio, reso oltre che operaio 
industriale anche consumatore, acquirente di case, sottoscrittore di Fondi 
pensioni, ecc.
Questo scarica in forme non solo indirette ma anche dirette e moltiplicate 
la crisi finanziaria sui proletari e le masse.
L' accentuata globalizzazione si è trasformata da arena dell'esercizio 
allargato della finanziarizzazione dell'economia in generatore e 
generalizzatore globale della crisi stessa, una volta scoppiata nel suo 
centro finanziario mondiale.
In questo senso si può dire che si tratta di una crisi senza precedenti, di 
ampiezza mondiale senza precedenti, e quindi anche superiore a quella del 
'29 su scala mondiale.
Abbiamo già detto che la crisi sottintende  il funzionamento reale del 
sistema capitalista e la legge che lo determina. Ma tutto questo in questa 
crisi si cerca di nascondere. Perchè vi è tutto l'interesse ad uscire dalla 
crisi salvando il sistema capitalista.
Ma ci sono aspetti della crisi reale che hanno un ruolo fondamentale.
La crisi di sovrapproduzione dovuta al fatto che il sistema mondiale produce 
merci, sebbene insufficienti a soddisfare i bisogni mondiali della 
popolazione due terzi della quale vive al di sotto del minimo necessario, 
eccessive per l'interesse del capitale dato che esso produce fino a che può 
ricavare profitto. E quindi ci si trova costantemente e fisiologicamente e 
patologicamente ciclicamente ad una insufficiente produzione rispetto ai 
bisogni e ad un eccesso di produzione rispetto alle capacità di acquisto.
A fronte di questo stato delle cose si mettono in moto due processi, 
anch'essi apparentemente contraddittori,  uno, si produce sempre di più a 
minor profitto, si ricercano profitti in campi e settori dove possono 
moltiplicarsi più facilmente, cercando così di sganciarsi dalla caduta 
tendenziale del profitto stesso
Il sistema imperialista produce quindi oltre che sovrapproduzione di merci, 
una eccedenza di capitali che attraverso la finanziarizzazione e la 
globalizzazione dell'economia si moltiplicano, diventando il centro del 
sistema economico mondiale e mina vangante dello stesso.
In questo senso la crisi attuale, come tutte le crisi cicliche del 
capitalismo, non ha che due vie d'uscita: una, realizzare quella distruzione 
di capitali e di merci atta a riattivare la produzione e il profitto, e 
affrontare un altro ciclo di quello che possiamo chiamare 'circuito 
virtuoso' del capitale che ne permette la sopravvivenza e sviluppo; l'altra 
mettere fine alla crisi stessa rimuovendone le cause di fondo che  l'hanno 
provocata.
Partire da un punto di vista di classe. Nell'affrontare la questione occorre 
necessariamente partire da un punto di vista di classe, cioè che cosa è 
nell'interesse del proletariato e delle masse popolari.
Primo. Non abbiamo interesse che la crisi si "risolva" dal punto di vista 
del capitale; quindi dobbiamo smascherare le interpretazioni e le soluzioni 
della crisi che vanno nell'interesse del capitale e che si traducono nello 
scaricamento di essa sulle spalle dei proletari e delle masse popolari.
Il capitalismo mobilita i suoi governi e i suoi Stati per fronteggiare 
l'emergenza principalmente finanziaria, e rilanciare la produzione creando 
nuove occasioni di profitto, riducendo i costi, in primis il costo del 
lavoro. Se la soluzione del capitale va avanti la crisi si risolve; certo 
creando le condizioni epocali per una crisi ciclica ancora più dura in 
futuro, ma intanto si  "risolve". Il capitale è oggi più forte che nel '29 
per risolvere la sua crisi. Le sue strutture concentrate e cooperanti sono 
molto esercitate, lubrificate e la costruzione dell'unità di intenti tra di 
loro più facile che nel passato.
Contrastare le soluzioni del capitale è un aspetto decisivo per 
l'approfondimento della crisi stessa. La discarica di essa sui proletari ne 
provoca le reazioni, alimenta la lotta di classe, e ci sono le condizioni 
più favorevoli per contrastare le soluzioni capitaliste della crisi.
Ma il contrasto verso i piani del capitale deve essere reale e deve 
distinguersi da essi nettamente nell'analisi e nella terapia. Far passare e 
alimentare l'idea nel proletariato che la crisi sia fondamentalmente 
originata dalla speculazione finanziaria, lungi dall'essere una "lotta 
contro la crisi", è una compagna di strada del capitale.
Non distinguersi nell'analisi della crisi, provoca  un'alleanza 
capitale-lavoro per uscire da essa, alleanza che serve solo gli interessi 
del capitale.
Il capitale attualmente ha bisogno assoluto del ruolo dello Stato, dopo la 
sbornia neoliberista, delle risorse di esso per ridurre i danni della 
devastazione finanziaria, socializzare le perdite e riattivare i meccanismi 
del profitto. Perorare, quindi, un nuovo intervento dello Stato 
nell'economia, fino a nazionalizzare banche o industrie in crisi coincide 
con l'interesse oggettivo del capitale di uscire dalla crisi e contribuisce 
alla realizzazione di quell'interesse generale del capitale che ha bisogno 
in fase di crisi di imporsi, anche con l'aiuto della lotta operaia, 
all'interesse privato dei singoli capitalisti o a quello di frazioni di esso 
che sono l'incrocio dei profittatori falliti della pre crisi e dei pesi 
ingombranti della sua ripresa.
In questo senso, è proprio l'alleanza tra interessi  del capitale e 
"salvatori" dalla crisi il nemico principale che i proletari devono 
combattere.
Due varianti di questa situazione sono: i sostenitori che l'uscita dalla 
crisi debba avvenire con la ripresa dei consumi, secondo la teoria che il 
capitale nella sua sete di profitto abbia ridotto i salari in modo tale che 
non possono acquistare i prodotti, per cui rilanciando i salari si rilancia 
il consumo e quindi la produzione, si emancipa il capitale industriale dalla 
sua finanziarizzazione, e... il capitale prospera nuovamente. A parte che si 
tratta di una sorta di "favola consolatoria"
della produzione capitalista come produzione di merci e dello stesso 
lavoratore come merce, che fa sì che non il consumo ma la produzione sia la 
fonte del profitto e che non l'assorbimento del consumo sia il fine del 
salario, ma quello della riproduzione della forza-lavoro. Di  conseguenza non 
ci può essere produzione là dove non c'è profitto e né espansione del 
salario tale da assorbire la produzione.
Il risultato effettivo di questa impostazione è di propugnare al massimo una 
lotta sindacale estrema, motore dello sviluppo del capitale, esattamente 
l'opposto dell'interesse del proletariato come classe del superamento del 
capitale.
La seconda posizione è una forma di neo Keynesianismo estremo, la quale 
sostiene che vi deve essere intervento dello Stato, ma questo intervento 
deve servire a indirizzare e anche a cambiare il capitale; e quindi l'aiuto 
al capitale non è per far riprendere il capitale così com'è ma per 
indirizzarlo verso produzioni ad alta occupazione, verso la bonifica 
ambientale, verso una statalizzazione più strutturata.
A parte la facile considerazione che si tratta di un già visto, i cui esiti 
furono nazismo e II guerra mondiale, entrando nel  merito.
'Alta occupazione'
produzione hanno reso i settori legati ad essa gli unici a più alto profitto 
e con minore caduta del saggio di profitto. Ciò rende impossibile che, salvo 
autodistruzione e ritorno all' 'età della pietra', i settori ad alta 
occupazione possano diventare i settori di ripresa del capitale.
'Bonifica ambientale'? Anche qui la funzione dell'intervento dello Stato 
sarebbe quella di creare nuove fonti di profitto che diventino appetibili 
per il capitale, a fronte della saturazione di alcune delle fonti 
attualmente in uso. Questo non è altro che un processo di travaso degli 
attuali mezzi di produzione, compresa la forza-lavoro, non un fattore di sua 
espansione e sviluppo; e, fermo restando la questione profitto come ragione 
della produzione, questo accentuerebbe ancora di più il divario, pur 
esistente e concausa della crisi,  tra produzione e consumo (vedi questione 
auto ecologica e piano Obama).
'Statalizzazione più strutturata'
produzione in cui la concentrazione del rapporto Stato/industria è 
organica - vedi l'industria bellica e la militarizzazione dell'economia o la 
neo nuclearizzazione.
Quindi, chi perora queste "soluzioni" come uscita dalla crisi, non solo è 
sostenitore che il capitale riprenda, ma nel contesto attuale propugna 
soluzioni peggiori del male.
Per queste ragioni obiettive il contrasto nella crisi, dal punto di vista 
del proletariato come classe sociale deve organizzarsi e agire non solo 
contro il capitale e i suoi governi, ma fuori dall'intero arco delle attuali 
opposizioni, in tutti i paesi imperialisti, e sul piano internazionale, nel 
quadro della contraddizione imperialismo/
parte dell'opposizione che si definisce  antimperialista, movimento 
antiglobalizzazione
nazionalistici, ecc.
Questa crisi ha un solo merito reale l'affermazione dell'analisi marxista 
del capitale e delle sue crisi, che montagne di sacerdoti, filosofi, 
scienziati e politici del capitale avevano voluto cancellare, sia nella 
trionfante affermazione del neoliberismo, sia con il riformismo 
socialdemocratico e revisionista. La "vecchia talpa" ha scavato nelle 
fondamenta delle teorie degli apologeti di questo sistema.
Tutto questo viene alla luce e le armi feconde della critica marxista è a 
fondamento della "critica delle armi", cioè della rivoluzione necessaria, 
come uscita non del capitale dalla crisi, ma dell'umanità dalla crisi del 
capitale.
La crisi sembra voler dare nuovo spazio ai riformisti. I riformisti anche 
estremi avevano sostenuto finora che il capitalismo sempre era  riformabile e 
che l'idea di una sua crisi irreversibile facesse parte ormai di teorie 
obsolete, fenomeno ormai morto e sepolto. Ora, a fronte della crisi, 
cambiano ruolo e riciclano la "riformabilità del capitalismo della pre 
crisi" con la sua "salvabilità, ora post crisi".
Si tratta di un cambiamento di posizione, per mantenere lo stesso ruolo.
L'effettiva realtà di questa crisi devastante, che permette la ripresa del 
marxismo e delle sue categorie di analisi, costituisce indubbiamente una 
novità positiva nel movimento operaio e nel movimento comunista.
Ma comporta anche l'insidia di un utilizzo del marxismo non corretto dentro 
la lotta proletaria nella crisi e soprattutto dentro la prospettiva del 
grande salto per il nuovo inizio che il movimento comunista può fare nelle 
condizioni create dalla crisi stessa. Il complesso delle argomentazioni di 
questa posizione parte dall'assunto della  descrizione della crisi come 
categoria generale e permanente del capitalismo di cui questa crisi non 
sarebbe che l'ultima e più generale rappresentazione e che obiettivamente fa 
corrispondere a questa descrizione una visione di essa come catastrofica e 
insuperabile. L'anti riformismo contenuto in questa posizione e la nuova 
fiducia che ispira verso le possibilità della rivoluzione, sono fatti 
indubbiamente salutari e positivi. Ma portano con sé un insidia, anch'essa 
non nuova nel movimento comunista, che è quella di non analizzare i 
caratteri specifici della crisi e della sua influenza specifica nella 
politica e nell'azione della borghesia. Rimandare solo al suo carattere 
generale significa sostenere che il capitalismo è in crisi da sempre, negare 
che nel capitalismo le crisi sono cicliche e non permanenti, fino alla 
visione conclusiva del suo carattere catastrofico e insuperabile.
Questo complesso  di ragionamenti ha l'effetto principale di dare per morto 
ciò che ancora vivo e vegeto.
Questi ragionamenti trasformano l'affermazione di potenza del comunismo che 
obiettivamente emerge dalla crisi, in impotenza dei comunisti nell'agire 
nella crisi come fattore di contrasto e approfondimento.
Il capitalismo ha messo in azione un ventaglio di soluzioni buone per tutti 
i gusti e capaci di mobilitare a suo sostegno tutte le forze. Per i 
comunisti è decisivo stare dentro il contrasto con ognuna di esse e con 
tutte insieme, per approfondire il contrasto capitale/lavoro, Stato/masse, 
riformismo/masse, per trasformare le potenzialità della crisi in possibilità 
di rivoluzione.
La crisi ha avuto il suo centro negli Stati Uniti e ha reso evidente come 
l'imperialismo USA, sia pur egemone, è un imperialismo in crisi. Questo 
manda in frantumi l'idea che il futuro sia caratterizzato da un ordine  
mondiale unipolare a dominio USA. La fase dell'era Bush e del post '89 è una 
parentesi della storia non la fine della storia. L'assetto del mondo già 
prima del '89 sul piano economico e geostrategico era multipolare, il 
bipolarismo era dominante solo sul piano militare, questione certo 
abbastanza determinante ma non decisiva. Le contraddizioni interimperialiste 
Usa, paesi europei, Giappone, Russia, le nuove potenze emergenti Cina, 
India, nella crisi dell'imperialismo USA, sono destinate ad accentuarsi, 
anche se siamo ben lungi da una loro precipitazione in una nuova guerra. Per 
questa mancano ancora diversi fattori, primo tra tutti il ridefinirsi delle 
alleanze sul piano dell'unione tra economico e militare, vero cemento di 
ogni alleanza imperialista.
Non corrisponde neanche a realtà che la crisi dia vita ad una nuova guerra 
fredda, cioè alla ripresa di una contesa Usa/Russia o che sia all'orizzonte  
un nuovo bipolarismo in cui questa volta i contendenti sarebbero Usa e Cina.
La crisi chiama l'imperialismo USA ad uno sforzo particolare, la presidenza 
Obama è sul piano politico un tentativo in questa direzione. La crisi è 
globale ma non colpisce in egual misura tutti i paesi. Quello che è certo è 
che essa incoraggia nel mare aperto da essa creata, tutti i contendenti 
imperialisti a cercare nell'uscita dalla crisi, l'opportunità per 
ricollocarsi con più forza nella contesa mondiale.
Ma ricollocarsi non è così facile, gli effetti perversi della 
finanziarizzazione hanno creato forme di cointeressi che stridono con la 
sfera di influenza di ciascuno dei contendenti. Questo rende molto 
intrecciata la situazione ed è la definizione leninista dell'imperialismo 
che ci aiuta a decifrarla.
Guardando ad una fotografia della situazione attuale l'accordo Usa/India e 
l'intervento americano in Iraq,  Afghanistan e il dominio attuale del Medio 
Oriente spinge verso un'alleanza Russia/Cina. Il Giappone è conteso tra 
un'alleanza strategica con gli Stati Uniti e l'esigenza di mantenere e 
sviluppare un suo ruolo di potenza asiatica divenuta ora sempre più 
difficile con l'ascesa del gigante cinese. La Russia permane nella sua 
contesa con gli Stati Uniti e ha ridato alla dittatura borghese di Putin 
tutta la necessità di riscoprire e rivalutare in termini nazional 
imperialisti sia l'antica eredità zarista come la più recente da Stalin a 
Brezniev.
La crisi pone grandi problemi ai paesi imperialisti europei che, da un lato, 
sono legati al ruolo che gli Usa svolgono nella finanza mondiale, dall'altro 
hanno l'esigenza a diversi livelli e secondo diversi ambiti di approfittare 
delle difficoltà dell'imperialismo Usa in tutto lo scacchiere mondiale.
Alcuni paesi imperialisti europei, tra cui l'Italia,  hanno interesse ad 
aumentare i loro legami con la Russia, così come altri a stabilire un 
rapporto di complementarietà con la Cina e la sfera asiatica, di mantenere 
la loro presenza imperiale in alcuni gangli vitali noti e meno noti dei 
paesi del Terzo Mondo e delle loro immense ricchezze giacenti. In Medio 
Oriente, in Africa gli imperialisti europei non sembrano però in grado di 
mantenere le posizioni a fronte del dominio americano e della crescente 
presenza cinese.
Comunque grande è il disordine sotto il cielo che la crisi ha portato alla 
luce. La materia incandescente delle contraddizioni interimperialiste cova 
inesorabilmente i germi di un nuovo conflitto mondiale. I tempi di esso 
appaiono ancora lunghi ma non vuol dire che non agiscano fin da ora.
E' erronea la posizione che guarda agli Usa come dominatori del mondo, unica 
superpotenza e che per questo perorano un fronte unito mondiale  contro 
l'imperialismo USA. Questa posizione lega obiettivamente le lotte proletarie 
e dei popoli agli imperialismi concorrenti e trasforma le lotte proletarie e 
i movimenti di liberazione in succubi e compartecipi della contesa 
interimperialista. Perfino nei luoghi in cui l'imperialismo Usa interviene 
direttamente - Iraq, Afghanistan, Medio Oriente con il gendarme israeliano, 
America Latina - la lotta contro l'imperialismo Usa non deve lasciare alcun 
spazio alla subordinazione agli altri imperialismi.
I processi che innesca la crisi sono sostanzialmente uguali in tutto il 
mondo: contenere i danni dei crack bancari, intervenire a sostegno delle 
industrie in crisi, favorire una ristrutturazione di collocazione di esse 
sul mercato mondiale. Questo esige l'abbassamento del costo del lavoro, 
l'ulteriore taglio delle spese sociali, mantenere bassi i prezzi 
dell'energia e delle materie prime, in una gara  in cui chi riesce prima 
guadagna terreno sugli altri.
Questo domanda uno Stato ancora più schiacciato sugli interessi immediati 
del grande capitale, uno Stato forte e militarizzato per imporre a tutti 
queste soluzioni e contenere l'inevitabile protesta sociale, ribellione dei 
proletari e dei popoli in cui la crisi è scaricata. Le soluzioni sono 
identiche indipendentemente dalla forma dei governi e la reazionarizzazione 
generale è l'unica tendenza che si afferma.
In ciascun paese essa assume i colori legata alla storia di questo paese e 
alle sua trasformazioni, ma è importante vederne i tratti comuni e 
considerare che da un lato si accentua la lotta di classe e dall'altro si 
attenua la dialettica governo/opposizione nelle sfere istituzionali, 
parlamentari di ogni paese .
Dal punto di vista del proletariato e dei popoli avanza la necessità di 
contrastare la discarica della crisi sulla propria  pelle e di dover fare 
questa lotta con mezzi rivoluzionari e con fini rivoluzionari.
Quindi ci sono condizioni favorevoli non solo allo sviluppo della lotta di 
classe ma al formarsi della coscienza rivoluzionaria e comunista.
Ma serve l'analisi concreta della situazione concreta, dato che esiste uno 
sviluppo disuguale che comporta uno sviluppo disuguale della lotta di classe 
e dei processi rivoluzionari. Lo sviluppo disuguale influenza la strategia e 
inquadra la tattica.
Lo sviluppo disuguale è fondamentale anche nella definizione programmatica 
della lotta per il socialismo. Essa deve tener conto della condizione 
concreta di ciascun paese nella catena imperialista e delle sue differenze. 
Una visione schematico-dottrina
ora di immediatismo ora di attesismo, ora estremisti, ora opportunisti, che 
non consentono ai comunisti di cogliere l'effettiva opportunità  della 
situazione mondiale e dei riflessi in ogni paese e di porsi alla testa di 
una lotta rivoluzionaria del proletariato quanto mai matura e sempre più 
obbligata.
La lotta rivoluzionaria non è la soluzione della crisi dell'imperialismo, 
serve ad acuire la crisi e sviluppare le condizioni migliori per il 
superamento del capitalismo che la genera.
PCm -italy 
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