PCm-Italy sends this text 2009 for analisis of economic crisis
 against riformist solution
 
 CRISI - contro le false soluzioni del riformismo
  la "soluzione" � la rivoluzione
 
 La crisi mostra la sua profondit�. La crisi devastante che attraversa il 
 sistema imperialista mondiale mostra giorno dopo giorno la sua profondit�. 
 Essa da crisi finanziaria si � trasformata in recessione mondiale. Come la 
 crisi sia nata nell'ambito finanziario per effetto della bolla speculativa � 
 stato ampiamente analizzato e descritto. Quello che occorre mettere in luce 
 � che essa � strettamente connessa alla natura stessa del sistema 
 imperialista. La finanziarizzazione dell'economia � stata lo sviluppo 
 inevitabile del capitale e data da lungo tempo.
 Dietro la finanziarizzazione c'� la ricerca del massimo profitto e l'uso di 
 tutti gli strumenti finanziari e di tutte le strutture costruite 
 dall'imperialismo a questo scopo. I grandi finanzieri che hanno tirato la 
 corda di quella che impropriamente viene chiamata "speculazione", sono stati 
 messi sotto accusa, ma in realt� sono stati fedeli esecutori e interpreti 
 dell'esigenza del grande capitale, industriale, terziario o pubblico che 
 sia. I grandi capitalisti e i loro governi cercano ora di singolarizzare le 
 colpe, trovare dei capri espiatori per salvare innanzitutto l'immagine e poi 
 il funzionamento del sistema stesso.
 
 Lo squilibrio di fondo � originato dallo sviluppo produttivo finalizzato al 
 profitto basato sullo sfruttamento della forza-lavoro e i profitti possibili 
 attraverso gli investimenti finanziari. Questo squilibrio non dipende dalla 
 volont� dei singoli ma dalla legge stessa che guida la ricerca del massimo 
 profitto da parte del capitale.
 La presunta immoralit� della speculazione finanziaria, l'assenza di regole 
 in essa di cui si parla, sono la norma in ogni tassello del sistema 
 capitalista e del movimento reale del capitale su scala mondiale.
 La crisi ha avuto il merito di mettere a nudo tutto questo, di rendere 
 evidente questo funzionamento mandando in frantumi, di conseguenza, 
 l'immagine che il capitale e il suo sistema d� di s�. Come nell'attivit� 
 produttiva il capitale cerca costantemente di affinare macchine e metodi per 
 trarre il massimo dallo sfruttamento operaio e dall'utilizzo intensivo dei 
 mezzi di produzione e materie prime, lo stesso avviene nel campo 
 dell'attivit� finanziaria. Anche qui si sono inventati via via sistemi 
 sempre pi� sofisticati ed efficaci di una macchina produttrice di denaro e 
 riproduttrice di profitto.
 La crisi ha messo in  particolare luce il rapporto tra questo gigantesco 
 sistema e una serie di fattori molto legati al coinvolgimento dei proletari 
 e delle masse popolari negli ingranaggi del sistema stesso. In particolare i 
 meccanismi legati ai mutui, al credito drogato al consumo, ai fondi 
 pensioni, ecc., hanno dato la possibilit� al capitale finanziario di 
 succhiare dieci volte lo stesso sangue all'operaio, reso oltre che operaio 
 industriale anche consumatore, acquirente di case, sottoscrittore di Fondi 
 pensioni, ecc.
 Questo scarica in forme non solo indirette ma anche dirette e moltiplicate 
 la crisi finanziaria sui proletari e le masse.
 
 L' accentuata globalizzazione si � trasformata da arena dell'esercizio 
 allargato della finanziarizzazione dell'economia in generatore e 
 generalizzatore globale della crisi stessa, una volta scoppiata nel suo 
 centro finanziario mondiale.
 In questo senso si pu� dire che si tratta di una crisi senza precedenti, di 
 ampiezza mondiale senza precedenti, e quindi anche superiore a quella del 
 '29 su scala mondiale.
 Abbiamo gi� detto che la crisi sottintende il funzionamento reale del 
 sistema capitalista e la legge che lo determina. Ma tutto questo in questa 
 crisi si cerca di nascondere. Perch� vi � tutto l'interesse ad uscire dalla 
 crisi salvando il sistema capitalista.
 Ma ci sono aspetti della crisi reale che hanno un ruolo fondamentale.
 La crisi di sovrapproduzione dovuta al fatto che il sistema mondiale produce 
 merci, sebbene insufficienti a soddisfare i bisogni mondiali della 
 popolazione due terzi della quale vive al di sotto del minimo necessario, 
 eccessive per l'interesse del capitale dato che esso produce fino a che pu� 
 ricavare profitto. E quindi ci si trova costantemente e fisiologicamente e 
 patologicamente ciclicamente ad una insufficiente produzione rispetto ai 
 bisogni e ad un eccesso di produzione rispetto alle capacit� di acquisto.
 A fronte di questo stato delle cose si mettono in moto due processi, 
 anch'essi apparentemente contraddittori, uno, si produce sempre di pi� a 
 minor profitto, si ricercano profitti in campi e settori dove possono 
 moltiplicarsi pi� facilmente, cercando cos� di sganciarsi dalla caduta 
 tendenziale del profitto stesso
 Il sistema imperialista produce quindi oltre che sovrapproduzione di merci, 
 una eccedenza di capitali che attraverso la finanziarizzazione e la 
 globalizzazione dell'economia si moltiplicano, diventando il centro del 
 sistema economico mondiale e mina vangante dello stesso.
 
 In questo senso la crisi attuale, come tutte le crisi cicliche del 
 capitalismo, non ha che due vie d'uscita: una, realizzare quella distruzione 
 di capitali e di merci atta a riattivare la produzione e il profitto, e 
 affrontare un altro ciclo di quello che possiamo chiamare 'circuito 
 virtuoso' del capitale che ne permette la sopravvivenza e sviluppo; l'altra 
 mettere fine alla crisi stessa rimuovendone le cause di fondo che l'hanno 
 provocata.
 
 Partire da un punto di vista di classe. Nell'affrontare la questione occorre 
 necessariamente partire da un punto di vista di classe, cio� che cosa � 
 nell'interesse del proletariato e delle masse popolari.
 Primo. Non abbiamo interesse che la crisi si "risolva" dal punto di vista 
 del capitale; quindi dobbiamo smascherare le interpretazioni e le soluzioni 
 della crisi che vanno nell'interesse del capitale e che si traducono nello 
 scaricamento di essa sulle spalle dei proletari e delle masse popolari.
 Il capitalismo mobilita i suoi governi e i suoi Stati per fronteggiare 
 l'emergenza principalmente finanziaria, e rilanciare la produzione creando 
 nuove occasioni di profitto, riducendo i costi, in primis il costo del 
 lavoro. Se la soluzione del capitale va avanti la crisi si risolve; certo 
 creando le condizioni epocali per una crisi ciclica ancora pi� dura in 
 futuro, ma intanto si "risolve". Il capitale � oggi pi� forte che nel '29 
 per risolvere la sua crisi. Le sue strutture concentrate e cooperanti sono 
 molto esercitate, lubrificate e la costruzione dell'unit� di intenti tra di 
 loro pi� facile che nel passato.
 Contrastare le soluzioni del capitale � un aspetto decisivo per 
 l'approfondimento della crisi stessa. La discarica di essa sui proletari ne 
 provoca le reazioni, alimenta la lotta di classe, e ci sono le condizioni 
 pi� favorevoli per contrastare le soluzioni capitaliste della crisi.
 Ma il contrasto verso i piani del capitale deve essere reale e deve 
 distinguersi da essi nettamente nell'analisi e nella terapia. Far passare e 
 alimentare l'idea nel proletariato che la crisi sia fondamentalmente 
 originata dalla speculazione finanziaria, lungi dall'essere una "lotta 
 contro la crisi", � una compagna di strada del capitale.
 Non distinguersi nell'analisi della crisi, provoca un'alleanza 
 capitale-lavoro per uscire da essa, alleanza che serve solo gli interessi 
 del capitale.
 Il capitale attualmente ha bisogno assoluto del ruolo dello Stato, dopo la 
 sbornia neoliberista, delle risorse di esso per ridurre i danni della 
 devastazione finanziaria, socializzare le perdite e riattivare i meccanismi 
 del profitto. Perorare, quindi, un nuovo intervento dello Stato 
 nell'economia, fino a nazionalizzare banche o industrie in crisi coincide 
 con l'interesse oggettivo del capitale di uscire dalla crisi e contribuisce 
 alla realizzazione di quell'interesse generale del capitale che ha bisogno 
 in fase di crisi di imporsi, anche con l'aiuto della lotta operaia, 
 all'interesse privato dei singoli capitalisti o a quello di frazioni di esso 
 che sono l'incrocio dei profittatori falliti della pre crisi e dei pesi 
 ingombranti della sua ripresa.
 In questo senso, � proprio l'alleanza tra interessi del capitale e 
 "salvatori" dalla crisi il nemico principale che i proletari devono 
 combattere.
 
 Due varianti di questa situazione sono: i sostenitori che l'uscita dalla 
 crisi debba avvenire con la ripresa dei consumi, secondo la teoria che il 
 capitale nella sua sete di profitto abbia ridotto i salari in modo tale che 
 non possono acquistare i prodotti, per cui rilanciando i salari si rilancia 
 il consumo e quindi la produzione, si emancipa il capitale industriale dalla 
 sua finanziarizzazione, e... il capitale prospera nuovamente. A parte che si 
 tratta di una sorta di "favola consolatoria",viene trascurato il carattere 
 della produzione capitalista come produzione di merci e dello stesso 
 lavoratore come merce, che fa s� che non il consumo ma la produzione sia la 
 fonte del profitto e che non l'assorbimento del consumo sia il fine del 
 salario, ma quello della riproduzione della forza-lavoro. Di conseguenza non 
 ci pu� essere produzione l� dove non c'� profitto e n� espansione del 
 salario tale da assorbire la produzione.
 Il risultato effettivo di questa impostazione � di propugnare al massimo una 
 lotta sindacale estrema, motore dello sviluppo del capitale, esattamente 
 l'opposto dell'interesse del proletariato come classe del superamento del 
 capitale.
 La seconda posizione � una forma di neo Keynesianismo estremo, la quale 
 sostiene che vi deve essere intervento dello Stato, ma questo intervento 
 deve servire a indirizzare e anche a cambiare il capitale; e quindi l'aiuto 
 al capitale non � per far riprendere il capitale cos� com'� ma per 
 indirizzarlo verso produzioni ad alta occupazione, verso la bonifica 
 ambientale, verso una statalizzazione pi� strutturata.
 A parte la facile considerazione che si tratta di un gi� visto, i cui esiti 
 furono nazismo e II guerra mondiale, entrando nel merito.
 'Alta occupazione'? Lo sviluppo dell'automazione e informatizzazione della 
 produzione hanno reso i settori legati ad essa gli unici a pi� alto profitto 
 e con minore caduta del saggio di profitto. Ci� rende impossibile che, salvo 
 autodistruzione e ritorno all' 'et� della pietra', i settori ad alta 
 occupazione possano diventare i settori di ripresa del capitale.
 'Bonifica ambientale'? Anche qui la funzione dell'intervento dello Stato 
 sarebbe quella di creare nuove fonti di profitto che diventino appetibili 
 per il capitale, a fronte della saturazione di alcune delle fonti 
 attualmente in uso. Questo non � altro che un processo di travaso degli 
 attuali mezzi di produzione, compresa la forza-lavoro, non un fattore di sua 
 espansione e sviluppo; e, fermo restando la questione profitto come ragione 
 della produzione, questo accentuerebbe ancora di pi� il divario, pur 
 esistente e concausa della crisi, tra produzione e consumo (vedi questione 
 auto ecologica e piano Obama).
 'Statalizzazione pi� strutturata'? Essa � possibile in campi della 
 produzione in cui la concentrazione del rapporto Stato/industria � 
 organica - vedi l'industria bellica e la militarizzazione dell'economia o la 
 neo nuclearizzazione.
 Quindi, chi perora queste "soluzioni" come uscita dalla crisi, non solo � 
 sostenitore che il capitale riprenda, ma nel contesto attuale propugna 
 soluzioni peggiori del male.
 
 Per queste ragioni obiettive il contrasto nella crisi, dal punto di vista 
 del proletariato come classe sociale deve organizzarsi e agire non solo 
 contro il capitale e i suoi governi, ma fuori dall'intero arco delle attuali 
 opposizioni, in tutti i paesi imperialisti, e sul piano internazionale, nel 
 quadro della contraddizione imperialismo/popoli oppressi, fuori da buona 
 parte dell'opposizione che si definisce antimperialista, movimento 
 antiglobalizzazione, fondamentalismo islamico, movimenti di liberazione 
 nazionalistici, ecc.
 
 Questa crisi ha un solo merito reale l'affermazione dell'analisi marxista 
 del capitale e delle sue crisi, che montagne di sacerdoti, filosofi, 
 scienziati e politici del capitale avevano voluto cancellare, sia nella 
 trionfante affermazione del neoliberismo, sia con il riformismo 
 socialdemocratico e revisionista. La "vecchia talpa" ha scavato nelle 
 fondamenta delle teorie degli apologeti di questo sistema.
 Tutto questo viene alla luce e le armi feconde della critica marxista � a 
 fondamento della "critica delle armi", cio� della rivoluzione necessaria, 
 come uscita non del capitale dalla crisi, ma dell'umanit� dalla crisi del 
 capitale.
 
 La crisi sembra voler dare nuovo spazio ai riformisti. I riformisti anche 
 estremi avevano sostenuto finora che il capitalismo sempre era riformabile e 
 che l'idea di una sua crisi irreversibile facesse parte ormai di teorie 
 obsolete,  fenomeno ormai morto e sepolto. Ora, a fronte della crisi, 
 cambiano ruolo e riciclano la "riformabilit� del capitalismo della pre 
  crisi" con la sua "salvabilit�, ora post crisi".
 Si tratta di un cambiamento di posizione, per mantenere lo stesso ruolo.
 
 L'effettiva realt� di questa crisi devastante, che permette la ripresa del 
 marxismo e delle sue categorie di analisi, costituisce indubbiamente una 
 novit� positiva nel movimento operaio e nel movimento comunista.
 Ma comporta anche l'insidia di un utilizzo del marxismo non corretto dentro 
 la lotta proletaria nella crisi e soprattutto dentro la prospettiva del 
 grande salto per il nuovo inizio che il movimento comunista pu� fare nelle 
 condizioni create dalla crisi stessa. Il complesso delle argomentazioni di 
 questa posizione parte dall'assunto della descrizione della crisi come 
 categoria generale e permanente del capitalismo di cui questa crisi non 
 sarebbe che l'ultima e pi� generale rappresentazione e che obiettivamente fa 
 corrispondere a questa descrizione una visione di essa come catastrofica e 
 insuperabile. L'anti riformismo contenuto in questa posizione e la nuova 
 fiducia che ispira verso le possibilit� della rivoluzione, sono fatti 
 indubbiamente salutari e positivi. Ma portano con s� un insidia, anch'essa 
 non nuova nel movimento comunista, che � quella di non analizzare i 
 caratteri specifici della crisi e della sua influenza specifica nella 
 politica e nell'azione della borghesia. Rimandare solo al suo carattere 
 generale significa sostenere che il capitalismo � in crisi da sempre, negare 
 che nel capitalismo le crisi sono cicliche e non permanenti, fino alla 
 visione conclusiva del suo carattere catastrofico e insuperabile.
 Questo complesso di ragionamenti ha l'effetto principale di dare per morto 
 ci� che ancora vivo e vegeto.
 Questi ragionamenti trasformano l'affermazione di potenza del comunismo che 
 obiettivamente emerge dalla crisi, in impotenza dei comunisti nell'agire 
 nella crisi come fattore di contrasto e approfondimento.
 
 Il capitalismo ha messo in azione un ventaglio di soluzioni buone per tutti 
 i gusti e capaci di mobilitare a suo sostegno tutte le forze. Per i 
 comunisti � decisivo stare dentro il contrasto con ognuna di esse e con 
 tutte insieme, per approfondire il contrasto capitale/lavoro, Stato/masse, 
 riformismo/masse, per trasformare le potenzialit� della crisi in possibilit� 
 di rivoluzione.
 
 La crisi ha avuto il suo centro negli Stati Uniti e ha reso evidente come 
 l'imperialismo USA, sia pur egemone, � un imperialismo in crisi. Questo 
 manda in frantumi l'idea che il futuro sia caratterizzato da un ordine 
 mondiale unipolare a dominio USA. La fase dell'era Bush e del post '89 � una 
 parentesi della storia non la fine della storia. L'assetto del mondo gi� 
 prima del '89 sul piano economico e geostrategico era multipolare, il 
 bipolarismo era dominante solo sul piano militare, questione certo 
 abbastanza determinante ma non decisiva. Le contraddizioni interimperialiste 
 Usa, paesi europei, Giappone, Russia, le nuove potenze emergenti Cina, 
 India, nella crisi dell'imperialismo USA, sono destinate ad accentuarsi, 
 anche se siamo ben lungi da una loro precipitazione in una nuova guerra. Per 
 questa mancano ancora diversi fattori, primo tra tutti il ridefinirsi delle 
 alleanze sul piano dell'unione tra economico e militare, vero cemento di 
 ogni alleanza imperialista.
 Non corrisponde neanche a realt� che la crisi dia vita ad una nuova guerra 
 fredda, cio� alla ripresa di una contesa Usa/Russia o che sia all'orizzonte 
 un nuovo bipolarismo in cui questa volta i contendenti sarebbero Usa e Cina.
 La crisi chiama l'imperialismo USA ad uno sforzo particolare, la presidenza 
 Obama � sul piano politico un tentativo in questa direzione. La crisi � 
 globale ma non colpisce in egual misura tutti i paesi. Quello che � certo � 
 che essa incoraggia nel mare aperto da essa creata, tutti i contendenti 
 imperialisti a cercare nell'uscita dalla crisi, l'opportunit� per 
 ricollocarsi con pi� forza nella contesa mondiale.
 Ma ricollocarsi non � cos� facile, gli effetti perversi della 
 finanziarizzazione hanno creato forme di cointeressi che stridono con la 
 sfera di influenza di ciascuno dei contendenti. Questo rende molto 
 intrecciata la situazione ed � la definizione leninista dell'imperialismo 
 che ci aiuta a decifrarla.
 Guardando ad una fotografia della situazione attuale l'accordo Usa/India e 
 l'intervento americano in Iraq, Afghanistan e il dominio attuale del Medio 
 Oriente spinge verso un'alleanza Russia/Cina. Il Giappone � conteso tra 
 un'alleanza strategica con gli Stati Uniti e l'esigenza di mantenere e 
 sviluppare un suo ruolo di potenza asiatica divenuta ora sempre pi� 
 difficile con l'ascesa del gigante cinese. La Russia permane nella sua 
 contesa con gli Stati Uniti e ha ridato alla dittatura borghese di Putin 
 tutta la necessit� di riscoprire e rivalutare in termini nazional 
 imperialisti sia l'antica eredit� zarista come la pi� recente da Stalin a 
 Brezniev.
 
 La crisi pone grandi problemi ai paesi imperialisti europei che, da un lato, 
 sono legati al ruolo che gli Usa svolgono nella finanza mondiale, dall'altro 
 hanno l'esigenza a diversi livelli e secondo diversi ambiti di approfittare 
 delle difficolt� dell'imperialismo Usa in tutto lo scacchiere mondiale.
 
 Alcuni paesi imperialisti europei, tra cui l'Italia, hanno interesse ad 
 aumentare i loro legami con la Russia, cos� come altri a stabilire un 
 rapporto di complementariet� con la Cina e la sfera asiatica, di mantenere 
 la loro presenza imperiale in alcuni gangli vitali noti e meno noti dei 
 paesi del Terzo Mondo e delle loro immense ricchezze giacenti. In Medio 
 Oriente, in Africa gli imperialisti europei non sembrano per� in grado di 
 mantenere le posizioni a fronte del dominio americano e della crescente 
 presenza cinese.
 
 Comunque grande � il disordine sotto il cielo che la crisi ha portato alla 
 luce. La materia incandescente delle contraddizioni interimperialiste cova 
 inesorabilmente i germi di un nuovo conflitto mondiale. I tempi di esso 
 appaiono ancora lunghi ma non vuol dire che non agiscano fin da ora.
 
 E' erronea la posizione che guarda agli Usa come dominatori del mondo, unica 
 superpotenza e che per questo perorano un fronte unito mondiale contro 
 l'imperialismo USA. Questa posizione lega obiettivamente le lotte proletarie 
 e dei popoli agli imperialismi concorrenti e trasforma le lotte proletarie e 
 i movimenti di liberazione in succubi e compartecipi della contesa 
 interimperialista. Perfino nei luoghi in cui l'imperialismo Usa interviene 
 direttamente - Iraq, Afghanistan, Medio Oriente con il gendarme israeliano, 
 America Latina - la lotta contro l'imperialismo Usa non deve lasciare alcun 
 spazio alla subordinazione agli altri imperialismi.
 
 I processi che innesca la crisi sono sostanzialmente uguali in tutto il 
 mondo: contenere i danni dei crack bancari, intervenire a sostegno delle 
 industrie in crisi, favorire una ristrutturazione di collocazione di esse 
 sul mercato mondiale. Questo esige l'abbassamento del costo del lavoro, 
 l'ulteriore taglio delle spese sociali, mantenere bassi i prezzi 
 dell'energia e delle materie prime, in una gara in cui chi riesce prima 
 guadagna terreno sugli altri.
 Questo domanda uno Stato ancora pi� schiacciato sugli interessi immediati 
 del grande capitale, uno Stato forte e militarizzato per imporre a tutti 
 queste soluzioni e contenere l'inevitabile protesta sociale, ribellione dei 
 proletari e dei popoli in cui la crisi � scaricata. Le soluzioni sono 
 identiche indipendentemente dalla forma dei governi e la reazionarizzazione 
 generale � l'unica tendenza che si afferma.
 In ciascun paese essa assume i colori legata alla storia di questo paese e 
 alle sua trasformazioni, ma � importante vederne i tratti comuni e 
 considerare che da un lato si accentua la lotta di classe e dall'altro si 
 attenua la dialettica governo/opposizione nelle sfere istituzionali, 
 parlamentari di ogni paese .
 
 Dal punto di vista del proletariato e dei popoli avanza la necessit� di 
 contrastare la discarica della crisi sulla propria pelle e di dover fare 
 questa lotta con mezzi rivoluzionari e con fini rivoluzionari.
 Quindi ci sono condizioni favorevoli non solo allo sviluppo della lotta di 
 classe ma al formarsi della coscienza rivoluzionaria e comunista.
 Ma serve l'analisi concreta della situazione concreta, dato che esiste uno 
 sviluppo disuguale che comporta uno sviluppo disuguale della lotta di classe 
 e dei processi rivoluzionari. Lo sviluppo disuguale influenza la strategia e 
 inquadra la tattica.
 Lo sviluppo disuguale � fondamentale anche nella definizione programmatica 
 della lotta per il socialismo. Essa deve tener conto della condizione 
 concreta di ciascun paese nella catena imperialista e delle sue differenze. 
 Una visione schematico-dottrinaria del socialismo contiene in s� elementi 
 ora di immediatismo ora di attesismo, ora estremisti, ora opportunisti, che 
 non consentono ai comunisti di cogliere l'effettiva opportunit� della 
 situazione mondiale e dei riflessi in ogni paese e di porsi alla testa di 
 una lotta rivoluzionaria del proletariato quanto mai matura e sempre pi� 
 obbligata.
 
 La lotta rivoluzionaria non � la soluzione della crisi dell'imperialismo, 
 serve ad acuire la crisi e sviluppare le condizioni migliori per il 
 superamento del capitalismo che la genera.
 
 PCm -italy 
 
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